GIACOMO PUCCINI, L’UOMO ED IL COMPOSITORE A CENTO ANNI DALLA SUA MORTE

CULTURA

di Fabio Serani

 

Talento indiscusso, uomo di mondo, futurista prima dei futuristi, introduttore della ricerca etnomusicologica nell’Opera, Giacomo Puccini da Lucca ha certamente rappresentato un momento dirompente nella centenaria storia dell’Opera lirica italiana: non è pretenzioso dire che grazie a lui quest’ultima sia arrivata al culmine della sua magnificenza, per poi intraprendere un lento declino. 

Figlio, nipote e pronipote d’arte (i Puccini erano maestri di cappella, a Lucca, da generazioni), vuoi per vicissitudini familiari, vuoi per una generale svogliatezza preadolescenziale, fu all’inizio un pessimo allievo, tanto da essere soprannominato “falento”, ossia fannullone senza talento, dallo zio materno, Fortunato Magi. Dopo la formazione elementare, si iscrisse all’Istituto Musicale di Lucca, dove già il defunto padre era stato docente, nella classe di Carlo Angeloni, rivelando il suo talento e potendo così iniziare a sostenere economicamente la propria famiglia ed il suo amore per i sigari toscani, che acquistava sottraendo una parte della paga che percepiva come organista. 

Il pellegrinaggio a piedi verso Pisa, per assistere all’Aida di Giuseppe Verdi, e le emozioni riportate, fanno virare il suo interesse verso la composizione operistica, spingendolo a lasciare la propria città e a tentare il trasferimento in quello che era all’epoca il centro musicale d’Italia, ossia Milano: ma come non è facile oggi sopravvivere come fuorisede nella città meneghina, non era semplice nemmeno allora. Fortunatamente, la madre ottenne per il figlio un parziale sussidio destinato allo studio dalla regina Margherita, che tuttavia non copriva tutta la somma necessaria per il trasferimento: fu Nicolao Cerù, medico e zio materno di Giacomo, a coprire le ultime spese pendenti. Puccini, una volta ammesso, seguì, per i primi tempi, uno stile di vita estremamente frugale, riservando le poche “palanche” che aveva in tasca ai biglietti degli spettacoli più interessanti, tralasciando addirittura di spendere per il cibo: scrisse, infatti, a sua madre: “La fame non la pato. Mangio maletto, ma mi riempio di minestroni, brodo lungo… e seguitate”. I risultati delle lezioni con il nuovo maestro Amilcare Ponchielli non tardarono ad arrivare: come Cerù aveva scritto sul giornale locale “Il Moccolino”, “I figlioli dei gatti prendono i topi”, e Puccini era come tutti i suoi predecessori, un gatto di prima qualità! Il debutto della sua prima opera, Le Villi, su libretto di Franco Fontana, porterà ad una prima, iniziale e probabilmente pilotata, battuta di arresto al concorso Sonzogno, che farà poi approdare quasi definitivamente Puccini sotto le insegne di Casa Ricordi, con le quali saranno pubblicate tutte le sue Opere, fatta eccezione per la Rondine, datata 1917. Il successo della prima esecuzione pubblica de Le Villi ed il conseguente contratto firmato con Ricordi, diedero a Puccini un’iniziale stabilità economica, consentendogli di iniziare la convivenza con Elvira, che era peraltro all’epoca ancora sposata con un droghiere lucchese. La successiva opera, Edgar, riscosse un successo cosiddetto “di stima”, ma non entrò mai nel repertorio stabile dei teatri più importanti, fatta eccezione per l’aria del baritono, una delle poche scritte da Puccini per questa vocalità; il debutto della Manon Lescaut al Regio di Torino, nel 1893, vide la definitiva consacrazione del giovane compositore nell’Olimpo degli operisti italiani, sebbene tale produzione risultasse ancora stilisticamente abbastanza acerba, tanto che lo stesso compositore la rimaneggiò più volte, fino al 1924. I successi di Bohème e, soprattutto, di Tosca, introdurranno l’artista nella fase più matura del suo stile compositivo, con l’amplissimo uso di una personale combinazione tra il tema della reminiscenza, tipico dell’Opera italiana, ed il leitmotiv Wagneriano, con echi formali della musica sinfonica del nuovo secolo, influenze debussiane, occasionale utilizzo del totale cromatico ed un’avanzata ricerca timbrica, pur mantenendo sempre una spiccata vena melodica: “contro tutto e contro tutti, fare opera di melodia”. Tra un successo e l’altro, dopo l’iniziale bocciatura della Madama Butterfly, la sua carriera si snoderà in Europa ed America, con La fanciulla del West, La rondine, Il trittico, fino all’incompiuta Turandot del 1924: un tumore alla gola diagnosticato pochi mesi prima, curato sperimentalmente a Bruxelles, obbligò l’artista a lasciare l’opera incompiuta sul mi bemolle dell’ottavino, al momento della morte di Liù. Dopo il debutto postumo alla Scala di Milano della Turandot, diretta incompleta da Toscanini, nessuna Opera ha più riscosso un così grande successo, e non è certamente azzardato affermare che con la morte del compositore lucchese si sia compiuto anche il destino dell’Opera Italiana. A distanza di un secolo, è il terzo compositore per numero di produzioni nei teatri mondiali, con tre suoi titoli (La Bohème, Tosca e Madama Butterfly) che rientrano costantemente, ormai da anni, tra le dieci opere più rappresentate al mondo, in compagnia di un certo Mozart, pur avendo un catalogo che ammonta alla metà di quello del compositore salisburghese, segno certo che le composizioni pucciniane siano ancora musicalmente e scenicamente attuali ed apprezzate dal pubblico. Nelle stagioni liriche del 2024, in occasione del centenario pucciniano, tutte le Fondazioni, i teatri di tradizione ed i festival italiani stanno proponendo, in ordine sparso, l’intero corpus di opere composte dal Maestro lucchese, oltre ad una folta serie di eventi speciali organizzati dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni Pucciniane, che vedono la partecipazione dei più importanti artisti lirici italiani ed internazionali.