RITORNO AL PLIOCENE?

di Corrado Clini

 

Il 22 gennaio scorso, l’Agenzia del governo USA per l’atmosfera e gli oceani (National Oceanic and Atmospheric Administration- NOAA) ha pubblicato il Rapporto 2023 sul clima globale.

Il rapporto ha messo in evidenza che il 2023 è stato l’anno più caldo da quando sono iniziate le misurazioni delle temperature nel 1850. Sempre a Gennaio 2024, la NOAA ha rilevato che la concentrazione in atmosfera di CO2 ha superato 422 parti per milione, superiore di oltre il 40% rispetto al 1960. La CO2 è un potente gas serra che contribuisce all’aumento della temperatura. L’aumento della concentrazione della CO2 è attribuito all’impiego dei combustibili fossili: per questo si parla di CO2 “antropica”. “I livelli di CO2 sono ora paragonabili al Pliocene Climatic Optimum, tra 4,1 e 4,5 milioni di anni fa, quando erano vicini o superiori a 400 ppm. 

Durante quel periodo, il livello del mare era compreso tra 5 e 25 metri più alto di quello attuale, e grandi foreste occupavano l'odierna tundra artica”, ha affermato l'amministratore della NOAA, Rick Spinrad. La NOAA ha anche pubblicato l’elenco delle anomalie climatiche e degli eventi climatici estremi (siccità, uragani, inondazioni, incendi) attribuiti all’aumento della temperatura, e che hanno riguardato tutti i continenti con un aumento significativo rispetto al decennio precedente. Il dato che colpisce negli ultimi 20 anni, in Europa come in Italia, è la frequenza ravvicinata di eventi che in precedenza avevano tempi di ritorno molto più lunghi. Purtroppo, la CO2 ha un tempo molto lungo di permanenza in atmosfera (almeno 100 anni) e di conseguenza possiamo aspettarci l’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi. Nella premessa alla “Strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici”, approvata nel giugno 2021 dall’Unione Europea, viene affermato che “arrestare tutte le emissioni di gas a effetto serra comunque non impedirebbe gli effetti dei cambiamenti climatici che sono già in atto e che proseguiranno per decenni”. Se l’impegno necessario e urgente per la riduzione delle emissioni di CO2 avrà effetti misurabili in tempi medio lunghi, le misure per l’adattamento ai cambiamenti climatici hanno invece impatti nel breve periodo ed effetti sociali ed economici di lunga durata. In Italia, considerata la vulnerabilità del nostro territorio, le misure dovrebbero riguardare in particolare: il divieto di uso dei territori vulnerabili  esposti al rischio di frane e alluvioni, e la rilocazione delle strutture edilizie, produttive, stradali e ferroviarie ubicate in questi territori; la protezione delle coste e delle infrastrutture costiere dall’erosione e dall’infiltrazione salina; la ricalibratura di fiumi, canali, fognature per adeguarli ai nuovi regimi di precipitazioni; la pulizia  dei boschi e delle foreste per garantire il flusso delle acque in occasione di precipitazioni intense; la revisione degli impianti per il drenaggio delle acque (idrovore e canali) nelle zone sotto il livello del mare; la realizzazione di invasi per favorire il drenaggio delle piogge intense e la conservazione dell’acqua. E’ necessario un programma di investimenti per la revisione degli usi dei nostri territori. Investimenti, e non costi, perché il prezzo della non azione è sempre più alto (Romagna docet). Ed è utile ricordare che nel “Pliocene” la pianura padana era sott’acqua.