di Natale Forlani

Nel 2024, la popolazione residente in Italia, 59,934 milioni (-37 mila rispetto al 2023), rimane sostanzialmente stabile grazie al saldo migratorio positivo generato dalle persone provenienti dall’estero rispetto a quelle espatriate (+244mila), che ha consentito di compensare una parte rilevante del saldo naturale (-281mila) che scaturisce dalla differenza tra il numero dei decessi e quello delle nuove nascite.
Il bilancio provvisorio dei principali indicatori demografici del 2024 è stato fornito dall’Istat con il supporto di una serie di analisi che confermano i tratti salienti delle tendenze già registrate nel corso dell’ultimo decennio: il costante invecchiamento della popolazione residente, per effetto combinato della speranza di vita, 83,4 anni (+5 mesi rispetto al 2023), e l’ulteriore riduzione delle nuove nascite, 370mila (-10mila). Le immigrazioni dall’estero (+435mila), anche se in lieve riduzione rispetto all’anno precedente, sono tornate a essere il fattore principale per la stabilità della popolazione.
Confermano la ripresa degli ingressi di nuovi immigrati per motivi di lavoro negli anni successivi alla pandemia di Covid-19 che inverte la tendenza registrata nel corso della seconda decade degli anni 2000. Nei saldi migratori pesa in negativo la forte crescita degli espatri di italiani verso altri Paesi europei, +156mila (+36%), che non trova un’adeguata compensazione nel rimpatrio dei nostri concittadini. La crescita della popolazione straniera (+347mila) è stata accompagnata dall’accoglimento di 217mila domande di cittadinanza inoltrate da individui già residenti che hanno maturato i requisiti richiesti, che ridimensionano l’impatto sul totale degli stranieri formalmente residenti in Italia (5,422 milioni). L’invecchiamento della popolazione comporta conseguenze plurime, principalmente di carattere economico-sociale. Le più evidenti sono quelle relative alla sostenibilità del mercato del lavoro e delle prestazioni sociali. La riduzione delle nuove nascite nel corso degli ultimi 30 anni si è progressivamente trasferita sulle persone in età da lavoro. La quota dei lavoratori ultraquarantenni è prossima al 60%. Quella degli over 50 anni ha superato da circa tre anni la coorte dei lavoratori tra i 35 e i 49 anni. Nel contempo è in forte accelerazione il pensionamento delle generazioni del baby boom che comporta un aumento delle persone anziane a carico della collettività. La quota della popolazione con più di 65 anni, attualmente il 24,8% di quella totale, è destinata ad aumentare in modo esponenziale. In parallelo, aumenta anche la quota dei grandi anziani ultra-85 anni e quella delle persone non autosufficienti. Il calo della natalità, con tutti i riflessi demografici, economici e sociali che ne derivano sul medio e lungo periodo, trova il suo corrispettivo nella destrutturazione dei nuclei familiari. A parità di popolazione, rispetto all’inizio degli anni 2000, il numero delle famiglie, 26,3 milioni, è aumentato di circa 4 milioni per la costante crescita del numero dei nuclei monocomposti. La quota delle coppie con figli (29,2% del totale) è quella che riscontra il maggior tasso di contrazione (-13%). Le migrazioni interne e quelle provenienti dall’estero, che rispecchiano le aspettative delle persone che cercano lavoro e i nuovi fabbisogni relativi alla manodopera, alla produzione e ai servizi, stanno comportando, di fatto, un’accelerazione degli squilibri demografici territoriali e uno spopolamento delle aree interne del Mezzogiorno e del Centro Italia, con conseguenze negative irreversibili per lo sviluppo di numerose comunità locali. L’impatto del declino demografico e dell’invecchiamento della popolazione riscontra un’attenzione maggiore rispetto al passato, ma rimane distante dalla capacità di sollecitare risposte adeguate sul piano delle politiche e dei comportamenti collettivi e individuali. Le politiche che vengono ipotizzate per sostenere la ripresa della natalità e per rendere sostenibili le prestazioni sociali ripropongono ancora gli approcci, gradualistici, delle riforme ipotizzate alla fine del secolo scorso (i sostegni economici alle famiglie con l’erogazione di bonus, gli aumenti dell’età pensionabile accompagnati da deroghe, la richiesta di nuovi immigrati). La carenza degli interventi strutturali e i vincoli di bilancio hanno compromesso l’efficacia dei provvedimenti. I risultati fallimentari degli approcci gradualisti e pseudo-riformatori sono del tutto evidenti. Nel contesto italiano, la sostenibilità del mercato del lavoro e delle prestazioni sociali dipende essenzialmente da due condizioni: dalla capacità di rigenerare la popolazione attiva, aumentando il numero assoluto delle persone occupate e dei contribuenti attivi; dall’incremento della produttività e dei redditi da lavoro per aumentare la dotazione di risorse pubbliche e private, al fine di soddisfare la crescita dei fabbisogni individuali e collettivi di spesa sociale. Il perseguimento di questi obiettivi deve fare i conti con una serie di criticità. Anzitutto, appare necessario un cambio di rotta per orientare l’utilizzo delle risorse pubbliche verso le finalità produttive, interrompendo il lungo ciclo delle politiche finalizzate ad utilizzare le suddette risorse per scopi meramente assistenziali e per sostenere con varie modalità i redditi delle persone (800 miliardi di euro di spesa pubblica aggiuntiva tra il 2008 e il 2023). L’esaurimento della stagione dei pensionamenti anticipati è del tutto evidente, ma non ancora conclamato. L’aumento della popolazione lavorativa non può prescindere dalla messa in atto di risposte efficaci per l’invecchiamento attivo dei lavoratori anziani. Oltre la metà delle future transizioni lavorative riguarderà i lavoratori over 50 anni. Assicurare le prestazioni di cura alle persone non autosufficienti è una priorità nazionale per far fronte alla prevedibile riduzione dei livelli di solidarietà familiare e per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne. La costruzione di una silver economy che si proponga di mobilitare le risorse finanziarie, tecnologiche e umane per coniugare l’invecchiamento della popolazione con il mantenimento del benessere e della dignità delle persone rappresenta l’asse portante delle riforme future.