di Renato Candia
Dopo l’annuncio, dato pochi mesi fa, dalla sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti, che faceva intravedere un possibile ritorno al voto numerico nella valutazione della scuola primaria, è in dirittura d’arrivo l’iter parlamentare di un nuovo Ddl che riporterebbe nuovamente al giudizio sintetico.
Ciò avverrebbe praticamente a ridosso del modello previsto dall’O.M. 172/2021 e dalle relative Linee guida che, com’è noto, prevedono una valutazione descrittiva. Al di là delle scelte di visione delle politiche scolastiche, la questione sembra riproporre anche un’ulteriore criticità dovuta ai metodi di valutazione in uso tra i vari ordini di scuola. Una discontinuità che investe l’intero ciclo d’istruzione dello studente, dentro e oltre l’obbligo scolastico, fino a comprendere anche il percorso universitario. La valutazione, in realtà, dovrebbe poter essere intesa come parte essenziale di una visione generale dell’offerta formativa di ogni singola scuola, a sua volta compresa nel contratto educativo insegnante-studente-famiglia. E ciò perché la valutazione è parte inscindibile del progetto di apprendimento.
Andrebbe considerato, per esempio, come in diversi contesti sia ancora piuttosto tiepida l’adozione e la messa a regime del modello formativo piuttosto che sommativo, nonostante una consolidata chiarezza della norma (D.Lgs 62/2017). Il follow-up sui singoli processi di apprendimento dovrebbe poter condividere di principio i criteri di verifica, misurazione e classificazione tra tutti i soggetti interessati come parte della progettazione generale, comunicando all’utenza il senso di valutazione come percorso e non come tappa. Nel caso di una valutazione numerica delle prove durante l’anno, per esempio, andrebbe evitato di fare periodiche medie aritmetiche per preferire piuttosto una adeguata considerazione della progressione, in negativo e/o in positivo, dei singoli risultati ottenuti nel periodo considerato. Ma anche potenziata la gestione dell’auto-valutazione formativa da parte dello studente, che è il frutto di un apprendimento specifico, costante e sistematico, piuttosto che l’attesa della restituzione conclusiva di una prestazione. Il perché di tutto ciò deve poter essere costruito e condiviso da tutti gli attori che compartecipano ad una medesima azione formativa. Deve poter essere comunicabile e facilmente accessibile. Richiede conoscenza degli attori e l’utile ricerca di un comune punto di partenza. Una valutazione efficace deve poter essere compresa nel curricolo per competenze che è richiesto (per obbligo, ma meglio sarebbe dire per necessità) ad ogni Istituzione scolastica autonoma. È inoltre indispensabile che il curricolo di istituto sia patrimonio comune dell’intera comunità scolastica, che le famiglie ne conoscano contenuti, dinamiche, composizione e ragioni, e che la scuola sappia loro raccontarli. Che ogni studente comprenda le pratiche con cui la scuola lo può rendere protagonista. Che ciascun attore del progetto formativo sappia incontrare la comunità con reciprocità, coerenza e motivazione. Come la metafora dell’albero e del ponte che racconta Stefano Stefanel: “la scuola è come un albero che poggia su una gamba sola e quindi conta solo l’apprendimento (…) oppure la scuola è come un ponte retto da due arcate indipendenti (apprendimento e valutazione)?”[1]. La risposta sembra implicita: l’albero rimane dove le sue radici si sono sviluppate, il ponte invece porta sempre da un’altra parte.